
I fatti contestati si ricollegano al sequestro di 17 tonnellate tra captagon ed hashish eseguito nel 2020 nel porto di Salerno
Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Salerno hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP del locale Tribunale, su richiesta di questa Procura, nei confronti del cittadino siriano Taher Al Kayali , allo stato latitante, indagato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
A seguito di un provvedimento cautelare eseguito il 31 gennaio da parte del Nucleo PEF Salerno a carico di un cittadino siriano, risultato irreperibile sul territorio nazionale, si è proceduto a dichiararne la latitanza ed attivare i previsti canali di cooperazione.
Il sequestro del 2020
I fatti contestati si ricollegano al sequestro di un quantitativo superiore alle diciassette tonnellate tra captagon ed hashish eseguito nel mese di giugno del 2020 nel porto di Salerno, occultato all’interno di containers commerciali provenienti dalla Siria, in transito presso il locale scalo commerciale e con destinazione finale Arabia Saudita e Libia.
I successivi approfondimenti investigativi avviati all’indomani dei sequestri dei Nuclei di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e Salerno, sotto la direzione di questa Procura Distrettuale, consentirono di ipotizzare, quanto ai fatti accertati, la responsabilità di un soggetto di origini siciliane residente in Svizzera, Alberto Eros Amato , e di uno spedizioniere doganale salemitano, Giuliantonio Apicella, che furono raggiunti da una misura cautelare nell’agosto 2021, in quanto considerati responsabili dell’intermediazione logistica dei carichi di sostanza stupefacente provenienti dalla Siria.
Le condanne
Per tali fatti, l’ulteriore sviluppo processuale ha condotto alla condanna di Amato alla pena di 1O anni di reclusione, recentemente confermata dalla Corte d’Appello, mentre per Apicella è ancora in corso il processo innanzi al Tribunale di Salerno.
Parallelamente, l’attenzione investigativa è stata rivolta all’individuazione del mittente della sostanza stupefacente e delle operazioni di trasporto, originariamente rimasto sconosciuto, che si è ritenuto di identificare, allo stato delle investigazioni e secondo la prospettiva accusatoria ritenuta fondata dal Giudice per le indagini preliminari, nel citato Al Kayali.
Messaggi inviati dalle piattaforme social
A tale conclusione, evidentemente suscettiva di conferma a seguito del vaglio dibattimentale, si è ritenuto di poter pervenire in base all’analisi forense di telefoni cellulari, da cui sono stati estrapolati alcuni messaggi verosimilmente scambiati, utilizzando le piattaforme whatsapp e telegram, con Amato, al quale sarebbero state fomite istruzioni sulle procedure da seguire per realizzare il programma criminoso, con specifico riferimento alla pratica del “tramacco”, consistente nel trasferire la merce di copertura dagli originari contenitori in altri “nazionalizzati”, in modo tale da far perdere le tracce della provenienza del carico, giustificando tali artifici con documentazione commerciale di accompagnamento emessa da aziende compiacenti.
Il modus operandi ipotizzato, infatti, consisteva nell’eliminazione di ogni indizio da cui risalire all’origine siriana della spedizione, proprio al fine di evitare le ispezioni doganali a cui sarebbero stati sottoposti negli scali intermedi i containers contenenti lo stupefacente, in quanto provenienti dal porto di Latakia in Siria, Paese inserito in “black list” del sistema doganale.