Tenente medico nasce in Colombia ma vive a Lentiscosa fino all’arruolamento al distretto militare di Napoli, ricordato con una targa
Il 25 aprile è il giorno della liberazione, in tutte le comunità del Cilento, Vallo di Diano, Policastro e Alburni, è stato organizzato, per questa giornata, un fitto appuntamento, per ricordare chi ha dato la vita per la libertà di tutti noi. I martiri laici, morti per un’idea di libertà che non presupponesse il nazifascismo. È il giorno adatto per ricorda un uomo della nostra terra nato in Colombia ma residente a Camerota (SA) alla frazione Lentiscosa dove ancora oggi viene ricordato con una lapide.
Salvatore Mazzeo la vita
Figlio di Luigi e fu Rosalia Bustillas, nasce il 30 dicembre 1912 a Barranquilla in Colombia, Abita a Lentiscosa di Camerota in provincia di Salerno. Di professione è medico. Iscritto al distretto militare di Napoli, Salvatore viene arruolato nell’esercito con l’incarico di tenente medico. Il futuro comandante partigiano aviglianese Carlo Suriani riferisce che Salvatore era in servizio alla territoriale di Avigliana presso gli impianti legati ai dinamitifici Nobel, Valloia e Allemandi. Carlo aggiunge anche, non senza invidia, che Salvatore fosse anche un bell’uomo assai apprezzato dalle donne. A partire dal 15 febbraio 1944 Salvatore aderisce alla Resistenza entrando, con il nome di battaglia Dottore, tra le fila della banda Nicoletta, al comando di Franco Nicoletta, futura 1a brigata Lillo Moncada inserita nella 43a divisione autonoma Valsangone Sergio De Vitis. Il 10 maggio 1944 le bande della valle sono investite dal massiccio rastrellamento dell’operazione Habicht: alle ore 3.40 colonne nazifasciste risalgono il fondovalle e contemporaneamente scendono dalle valli laterali per imbottigliare i giovani ribelli. L’attacco è atteso: la sera prima le bande hanno lasciato il fondovalle per ritirarsi a monte in posizioni di sicurezza predisponendo reti di sentinelle e il minamento dei ponti a Pontepietra e a Sangonetto.
Le squadre che hanno il compito di far saltare i ponti non riescono nell’intento favorendo la penetrazione dei nazifascisti come alla Maddalena dove cominciano subito a rastrellare attaccando la banda Nino-Carlo. Invece alle spalle i partigiani non prendono particolari precauzioni. Proprio lì s’annida l’insidia: nella notte dalle valli Chisone e Susa un ingente numero di nazisti del 617° battaglione Est, formato da russi di varie nazionalità specializzati in guerra ad alta quota, sale sui colli e nel silenzio dell’alba piomba a valle. Al colle Bione i nazifascisti s’imbattono subito in un avamposto della banda Genio che ingaggia combattimento dovendo poi cedere per l’inferiorità.
Ma dal colle della Roussa scendono lungo il corso del Sangone trovando alla loro sinistra le baite del Sellery inferiore con un distaccamento della banda Sergio e in basso la villa Sertorio con un distaccamento della banda Nicoletta: è attacco simultaneo. Non è ancor l’alba quando la battaglia s’accende tragica e furiosa: i partigiani son colti nel sonno, non si sa neppur se riescano a dar l’allarme collettiva, l’ordine “Si salvi chi può” disunisce il gruppo. Le mitragliatrici son posizionate in modo da snidar i partigiani dai rifugi e colpirli mentre fuggono. Priva di vegetazione, la zona non dà scampo: tanti cadono sul posto. Altri, feriti compresi, tentano disperatamente di mettersi in salvo braccati dai nazisti: alcuni muoiono più in là, altri finiscono catturati, solo qualcuno riesce a fuggire. Va meglio alla villa Sertorio: i partigiani resistono all’interno asserragliati fin quando verso mezzogiorno i nazifascisti si ritirano. Ma appena escono, i partigiani sono attaccati e messi in fuga dalla colonna che risale il fondovalle.
A sera il bilancio è di una cinquantina di partigiani e dieci civili uccisi, a cui s’aggiungono numerosi prigionieri portati alle carceri Nuove di Torino, parecchi feriti, un imprecisato numero di dispersi e oltre cento case incendiate. Il rastrellamento però continua nei giorni seguenti con pattuglie che percorrono le montagne rastrellando i partigiani che ormai si muovono allo sbando. Molti, tra cui anche Salvatore Dottore Mazzeo, vengono catturati, imprigionati e torturati nella scuola elementare di Coazze mentre si passa ora ad intimidire le popolazioni locali ree d’esser complici dei partigiani.
IL ritiro dei nazifascisti
Infine, quando ormai s’apprestano a lasciar la valle, i nazifascisti attuano l’ultimo obiettivo: lasciare un monito a futura memoria. Il 16 maggio è il giorno della mattanza. Una trentina di partigiani prelevati dalla scuola vengono portati a Forno di Coazze e divisi in diversi gruppi: Dottore viene fucilato a trentadue anni in località Prese Garida a Forno di Coazze, dopo esser stato costretto con il diciannovenne giavenese Renato Ruffinatti, il ventiseienne romano Umberto Pavone e il ventisettenne siciliano Filippo maresciallo Franco Mazzaglia a scavarsi la fossa mentre venticinque altri compagni vengono mitragliati alle gambe, lasciati agonizzare per l’intera notte e l’indomani sepolti vivi in riva al Sangone nell’eccidio della Fossa Comune di Forno di Coazze e altri compagni ancora proseguono per esser fucilitati in vari altri punti della località.
La salma di Dottore sarà ritrovata il 29 maggio 1944 da Irma Ruffinatti, mamma di Renato, in una spedizione sopra Forno di Coazze per ritrovare e seppellire i tanti caduti del rastrellamento. Gli elementi utili per il riconoscimento della salma di Dottore sono pantaloni grigi chiari, giubba blu, scarpe da sciatore, baffetti neri piccoli, capelli neri ondulati, vestiti civili. Dottore è oggi sepolto insieme a 95 compagni partigiani nell’Ossario dei Caduti Partigiani di Forno di Coazze.



