L’Omphalotus olearius – noto come fungo dell’ulivo – continua a mietere vittime di intossicazione. Colpa della sua somiglianza con il pregiato «galletto»: causa anche l’utilizzo di App
Non sempre affidarsi alla tecnologia è un bene, soprattutto quando si tratta di natura e salute. È il caso della raccolta dei funghi, un’attività affascinante ma insidiosa che richiede esperienza, conoscenza e – come previsto dalla legge – una licenza rilasciata dalle ASL competenti.
L’inizio della stagione in Toscana è stato segnato da un numero preoccupante di intossicazioni, molte delle quali riconducibili a un protagonista ricorrente: l’Omphalotus olearius, meglio conosciuto come “fungo dell’ulivo”. Estremamente tossico, questo fungo trae in inganno i raccoglitori inesperti a causa della sua somiglianza quasi perfetta con il Cantharellus cibarius, ovvero il celebre «galletto», apprezzato per il suo sapore e completamente commestibile.
L’errore può costare caro: nausea, vomito, forti dolori addominali, fino a necessitare del ricovero in ospedale. Ogni anno, decine di persone finiscono così al pronto soccorso dopo aver consumato quello che credevano un pasto prelibato.
A peggiorare la situazione, negli ultimi tempi, è la crescente abitudine di alcuni cercatori di affidarsi a semplici app di riconoscimento: strumenti utili per curiosità ma tutt’altro che sicuri per distinguere un fungo velenoso da uno commestibile. Nessuna di queste applicazioni, infatti, offre garanzie: il rischio di errore rimane altissimo.
La regola d’oro resta una sola: mai improvvisarsi micologi. Chi ama andare per boschi dovrebbe sempre rivolgersi agli esperti o ai servizi di controllo micologico delle ASL, attivi in tutta Italia, dove i funghi raccolti vengono verificati gratuitamente.
Una prudenza che può fare la differenza tra un piatto genuino e una corsa al pronto soccorso.



